G
ILLO DORFLES: mi piacciono molto questi colori che sembrano stesi come fossero una prova
di un progetto, di un prodotto, prima di andare alla realizzazione seriale. Quasi ad affermare
che ciascuna piastrella è un quadro a sé, totalmente diversa da tutte le altre. Da anni affermo che
è necessario, accanto alla funzione pratica di un oggetto, mantenere una connotazione che dovr
à
essere magica, persuasiva, personale, poetica, e questa connotazione dovrà essere sganciata dalla
sua utilitarietà funzionale e sarà invece, intimamente, legata a un’utilitarietà psicologica ed estetica
che varia col variare degli stili e delle mode, ma di cui le persone di ogni epoca hanno avvertito
e avvertiranno, sempre, l’urgenza. Da qui anche le diverse, infinite possibilità combinatorie che
ciascuna tavola cromatica, i diversi formati, i piani verticali e orizzontali, sono in grado di offrire
al progettista e al consumatore. Sono infinite le metafore che una forma e un colore sono capaci
di allineare su una tavolozza immaginaria; il libro, da questo punto di vista, è un vero e proprio
manuale di “stili” e di linguaggi compostivi, all’interno della territorialità, da quale esso proviene.
A
LDO COLONETTI: alcuni capitoli del libro sono dedicati ai disegni, realizzati per progettare
alberghi, case mediterranee, interni, pavimenti, terrazzi. Trovo molto interessante, al di là
della qualità degli interventi, l’utilizzo di strumenti antichi come la matita, il pennello, i colori
stesi come se fosse un quadro e non una tavola di progetto realizzata al computer. Se non si parte
dal disegno, dal primo schizzo, dalle prime intuizioni sui volumi, le loro relazioni al
fine di definire
le parti semplici che via via costruiscono la complessità di un edificio, tutto diventa omologabile,
uguale a tutto il resto, perdendo il valore, centrale per ogni attività progettuale, che “il design è il
linguaggio della differenza” della nostra epoca. Gillo, tu hai sempre guardato in avanti, la nostalgia
non fa parte dei tuoi modelli culturali, ma nello stesso hai sempre difeso “il fatto a mano”, ovvero
il ruolo della persona rispetto alle regole generali; al centro l’unicità individuale, senza dimenticare
che è possibile replicare una forma, rispettando le sue origini “artistiche”. Tutto questo per
affermare che questo libro è unico, per le sue tavole, i suo disegni, la varietà cromatica, le soluzioni
proposte, ma nello stesso tempo afferma anche la possibilità di offrire soluzioni progettuali, secondo
modi e tempi seriali. Il “fatto a mano”, replicabile ma rispettoso delle sue radici artigianali.
G
ILLO DORFLES: “Il Libro delle Piastrelle” è un progetto “fatto a mano”; anche il titolo è in
un certo senso “antico”, perché ricorda un diario, “scritto e disegnato a mano”, legato a una
storia, ancora attuale, di una particolare produzione di Vietri. Le tavole di presentazione dei progetti
sono veri e propri acquarelli, che sembrano arrivare da lontano, ma nello stesso tempo, ci riportano
quel particolare gusto e piacere dell’ornamento che, secondo me, rappresenta una delle caratteristiche
imprescindibili, dell’architettura e del design contemporanei. Non è possibile non rimanere colpiti dal
fatto che in molte forme artistiche di tipo artigianale sia possibile constatare la presenza di questi
elementi decorativi anche al di fuori di ogni volontà semantica, come se derivasse da una sorta di “segni
archetipi”. Nel campo poi della ceramica vietrese, basti pensare alle simbologie legate alle “arti e
mestieri” e alle diverse professioni: sigle di vasai, delle porcellane, punzoni, cifrari nautici ed altro. Tutto
questo per dire che anche in un libro come questo, l’elemento mitico-simbolico trova nell’ornamento
uno dei suoi territori privilegiati e con ogni probabilità continuerà a trovarlo anche in futuro.