Direttore del Centre d'Art
Contemporain, Genève
Nato a Torino nel 1936, Giorgio Griffa è oggi considerato uno dei piu’
interessanti pittori astratti italiani del Ventesimo secolo. L’artista torinese
comincia a dipingere molto presto, all’età di 10 anni, dedicandosi per due
decenni ad una pittura di carattere figurativo, piuttosto tradizionale nei
soggetti e nello stile. La sua opera matura si sviluppa più tardi, a metà
degli anni Sessanta, nel contesto delle poetiche astratto-espressioniste
e tachiste, le quali fondavano il proprio linguaggio su un’idea del
dipingere come il susseguirsi di un gesto, come la ripetizione di un segno,
come scrittura. Il dipingere non più come rappresentazione ma come
espressione diretta di uno stato mentale, di una precisa temperatura
psichica, di un ritmo interno.
La sua opera è stata storicamente collocata all’interno della
cosiddetta “pittura analitica”, una pittura cioè intenta ad analizzare se
stessa e i suoi meccanismi interni: la superficie, il supporto, il colore, il
segno. Tuttavia l’opera di Giorgio Griffa sembra differenziarsi da quella
dei suoi compagni di viaggio, e risulta oggi difficilmente inquadrabile
all’interno dei movimenti storici legati alle correnti analitiche e
concettuali. La sua pittura astratta, fatta di semplici segni ripetuti sulla
tela, non sembra tanto un’analisi del fare pittura, quanto piuttosto un
omaggio alla pittura e alla sua storia. Uno dei felici paradossi dell’arte di
Griffa è proprio questo: nonostante le premesse concettuali la sua arte
esprime un’affascinante componente lirica, una musicalità radiosa molto
lontana dalla freddezza delle neoavanguardie pittoriche.
In questo senso la sua opera rappresenta per il mondo dell’arte una
sorta di mistero, tanto affascinante quanto inafferrabile, proprio perché
in essa tutto appare semplice e complesso al tempo stesso. Semplici
sono le tele che l’artista utilizza, come la iuta, la canapa, il cotone o il
lino. Semplice, diremmo addirittura anonimo, è il gesto del dipingere:
una serie di linee verticali oppure orizzontali, e -solo a partire dagli
anni Ottanta- arabeschi, greche e spirali. Eppure a questa apparente
semplicità, l’artista torinese affida il compito di dire ciò che per sua
natura è indicibile, affida il compito cioè di affondare nel mistero della
creazione e dell’ignoto. Sotto l’apparenza del banale e dell’ovvio, l’opera
di Griffa fa in realtà riferimento ad una straordinaria stratificazione
di rimandi alla storia dell’arte, alla pittura del paleolitico, alla filosofia
EURIDICE
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