TEXT BY WALTER GUADAGNINI

Piani immaginari.

“Ma ancora vorremmo trovare nelle nostre opere la eco dell’antico contrap-

punto, la modulazione. Nel divertimento delle parti, non ‘piani’ correttamente

giustapposti e palesi (modellazione), ma piani che, giocando fra loro, danno vita a

piani immaginari”: è Fausto Melotti, alla fine degli anni Sessanta, presentando le

sue sculture degli anni Trenta.

Davanti a queste fotografie, la felicità di vedere le forme che si rincorrono,

nello spazio e nel tempo. Spazio naturalmente neutro, come vuole la tradizione

della fotografia di prodotto, spazio che si costituisce attraverso la composizione di

forme essenziali, e delle ombre, delle rifrazioni, dei colori, dove quello che si vede

guida l’occhio verso l’invisibile.

Esercizi sul tema della natura morta, anche, e non potrebbe essere altri-

menti, ma la memoria gioca tra fotografia e pittura e architettura lasciando scor-

rere le immagini oltre le apparenze, oltre le (splendide) superfici. Ché il fotografo

deve qui imporsi un duplice ruolo, quello di rivelatore della bellezza dell’oggetto

sapendolo trascendere, trasformandolo in altro senza tradirlo. Geometrie, allora,

prospettive, spazi appunto, attraverso i quali agisce il tempo. Quello dei materiali e

quello della storia.

I materiali sono contemporanei, figli di esperienza antica e tecnologia moderna,

così come è la fotografia che li racconta. E come sono questi 5 fotografi. L’anagrafe

dice italiani, svizzeri, tedeschi, le biografie dicono europei, e non è certo un caso.

Il tempo della storia, allora, è nelle immagini, e nella memoria di chi guarda.

Astratte vien da dire, soprattutto viene da pensare ai fotogrammi di Moholy-

Nagy e ai collage fotografici di Vordemberge-Gildewart, ai dipinti di Lissitzky (ma

anche alle sue fotografie, Il costruttore, 1924, quasi un secolo fa, l’architettura

ancora, l’anno dopo Moholy-Nagy in Pittura Fotografia Film scriveva “Noi vogliamo

produrre secondo un piano, in quanto per la vita è importante la creazione di

nuove relazioni”), poi Klucis e Rodcenko, le composizioni di Florence Henri e Luigi

Veronesi, tutti all’incrocio delle arti, dove la contaminazione è un modo di essere,

non di apparire.

Perché questa astrazione non implica un’uscita dal mondo, è invece il presup-

posto per la sua reinvenzione, e per la scoperta della sua bellezza, attraverso la

precisione della forma e dell’intelletto. “Un gioco che, quando riesce, è poesia”,

chiosava lo scultore.

Imaginary planes.

“But we would still like to find in our works the echo of the old counterpoint,

modulation. In the play of parts, which are not planes correctly juxtaposed and

evident (modeling) but planes which, playing with one another, give rise to imaginary

planes”: this is the view taken by Fausto Melotti, at the end of the Sixties, at the

presentation of a series of 1930 sculptures.

In front of these photographs we experience the pleasure of observing forms

that run after each after, in space and in time. Naturally neutral space, just as the

tradition of product photography dictates, a space that is made up of essential

forms, of shadows, refractions and colours, where the visible guides the eye towards

the invisible.

It is also an exercise on the subject of still life, and it could by no means be

otherwise, memory plays between photography, painting and architecture, letting

images flow beyond appearances, beyond (splendid) surfaces. The photographer

has to set himself a double role here, the role of revealing the beauty of the object,

knowing exactly how to transcend it, transforming it into something different without

ever deceiving it. Geometries, perspectives, and indeed spaces, all of which are

affected through time. The time of materials and the historical epoch.

The materials are contemporary, the fruit of long-standing experience and

modern technology, just as the photograph that tells the story. And what is to be

said about these 5 photographers. The registry office says Italian, Swiss, German,

yet the biographies read European, and that is certainly no coincidence. The epoch

then is reflected in the images, and in the memory of the beholders.

Abstracts that bring to mind the photograms by Moholy-Nagy and the abstract

collages by Vordemberge-Gildewart, the paintings by Lissitzky (as well as his

photographs, Il costruttore, 1924, almost a century ago, and again architecture, one

year after Moholy-Nagy wrote in Painting, Photography and Film “We want to create

according to a plane, as creating new relationships are important in life”), and then

Klucis and Rodcenko, the works by Florence Henri, and by Luigi Veronesi, at the

crossroads of the arts, where contamination is a way of being and not simply a

question of appearance.

Because this abstraction does not imply an escape from the world, it is instead

a prerequisite for its reinvention and for the discovery of its beauty, through the

precision of form and intellect. “A game which, when it succeeds, is sheer poetry”,

remarked the sculptor.

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